Fiore61
31-12-2004, 18:05
In un mondo sempre più globale, quello che è successo ci tocca da vicino. E la festa non può trascorrere come se niente fosse.
Maurizio Crosetti
Ci sono momenti in cui il silenzio è una necessitÃ* più che un dovere. Momenti in cui non si può chiudere il mondo dietro la porta di casa, lui lÃ* fuori, noi qui dentro a festeggiare. Perché questo non è un Capodanno come gli altri. Il modo, fuori, ci è entrato dentro casa senza bussare:è così che fa, quando la gente muore. Il mondo sfonda la porta, ci mette davanti agli occhi le tremende fotografie dei giornali, le strazianti immagini della televisione. Non è possibile restare indifferenti a quel mondo che bussa e muore, magari con una bottiglia di spumante in mano e un petardo nell?altra.
Non si tratta di retorica, né di astratta caritÃ* mentale. La necessitÃ* del silenzio, come momento di riflessione sulla nostra storia e sul nostro destino di uomini ? che in un attimo può trasformarsi nel destino di tutti e viceversa (il destino è capriccioso e non si cura dell?indifferenza) ? riguarda chiunque abbia occhi e cuore.
E allora pensiamo che stavolta sia giusto non fare rumore, non festeggiare il nuovo anno con i botti e i fuochi: sarebbe come urlare in presenza di chi soffre. Condividere un dolore non vuol dire diventare tristi, ma rispettare quel dolore e chi lo sta vivendo.
Anche se si trova dall?altra parte del mondo: e poi, la tragedia del Sudest asiatico ci ha spiegato che il mondo è diventato proprio piccolo, e che lo si percorre in un attimo. Può accadere di essere turisti in vacanza esotica, e in un istante trasformarsi in vittime o testimoni di un cataclisma.
Dunque, il silenzio di Capodanno è anche un modo per rifletter su di noi, non solo per essere un pò vicini a ?loro?, ai lontani, agli sventurati. Una festa senza fuochi (che, tra parentesi, ogni anno mozzano mani e oscurano occhi, di bambini e ragazzi soprattutto) è un segno di profonda umanitÃ*, di semplice ma vissuta partecipazione. Aspettare il secondo che fa scoccare il nuovo anno, e pensare che chi sta male non è solo: proviamoci, stavolta. SarÃ* una maniera, anche per augurarci di non essere soli quando potrebbe toccare a noi star male.
Si parla di globalizzazione e di confini vicini, in questa nostra inquieta modernitÃ*, e così viviamo nel mondo che aspetta il nuovo anno.
Proviamo a farlo nel silenzio e nel rispetto del dolore, così anche il nostro pensiero potrÃ* essere un po? più globale, se riuscirÃ* a occuparsi dell?uomo.
Cioè gli altri cioè noi.
TANTI AUGURI
Maurizio Crosetti
Ci sono momenti in cui il silenzio è una necessitÃ* più che un dovere. Momenti in cui non si può chiudere il mondo dietro la porta di casa, lui lÃ* fuori, noi qui dentro a festeggiare. Perché questo non è un Capodanno come gli altri. Il modo, fuori, ci è entrato dentro casa senza bussare:è così che fa, quando la gente muore. Il mondo sfonda la porta, ci mette davanti agli occhi le tremende fotografie dei giornali, le strazianti immagini della televisione. Non è possibile restare indifferenti a quel mondo che bussa e muore, magari con una bottiglia di spumante in mano e un petardo nell?altra.
Non si tratta di retorica, né di astratta caritÃ* mentale. La necessitÃ* del silenzio, come momento di riflessione sulla nostra storia e sul nostro destino di uomini ? che in un attimo può trasformarsi nel destino di tutti e viceversa (il destino è capriccioso e non si cura dell?indifferenza) ? riguarda chiunque abbia occhi e cuore.
E allora pensiamo che stavolta sia giusto non fare rumore, non festeggiare il nuovo anno con i botti e i fuochi: sarebbe come urlare in presenza di chi soffre. Condividere un dolore non vuol dire diventare tristi, ma rispettare quel dolore e chi lo sta vivendo.
Anche se si trova dall?altra parte del mondo: e poi, la tragedia del Sudest asiatico ci ha spiegato che il mondo è diventato proprio piccolo, e che lo si percorre in un attimo. Può accadere di essere turisti in vacanza esotica, e in un istante trasformarsi in vittime o testimoni di un cataclisma.
Dunque, il silenzio di Capodanno è anche un modo per rifletter su di noi, non solo per essere un pò vicini a ?loro?, ai lontani, agli sventurati. Una festa senza fuochi (che, tra parentesi, ogni anno mozzano mani e oscurano occhi, di bambini e ragazzi soprattutto) è un segno di profonda umanitÃ*, di semplice ma vissuta partecipazione. Aspettare il secondo che fa scoccare il nuovo anno, e pensare che chi sta male non è solo: proviamoci, stavolta. SarÃ* una maniera, anche per augurarci di non essere soli quando potrebbe toccare a noi star male.
Si parla di globalizzazione e di confini vicini, in questa nostra inquieta modernitÃ*, e così viviamo nel mondo che aspetta il nuovo anno.
Proviamo a farlo nel silenzio e nel rispetto del dolore, così anche il nostro pensiero potrÃ* essere un po? più globale, se riuscirÃ* a occuparsi dell?uomo.
Cioè gli altri cioè noi.
TANTI AUGURI